Come ti sentiresti se all’improvviso scoprissi che tuo padre non è davvero tuo padre, ma un suo sosia? Cosa faresti se anche il resto dei tuoi familiari, dei tuoi amici e dei tuoi conoscenti fossero tutti degli impostori e non le persone che credevi di conoscere così bene?
Sembra la trama di un thriller, è vero, tuttavia si tratta di una realtà assolutamente inconfutabile per alcune persone: è la Sindrome di Capgras, un disturbo psichiatrico raro che colpisce il 10% dei pazienti con malattia di Alzheimer, il 25% dei pazienti con Demenza a corpi di Lewy e fino al 60-70% di pazienti con disturbi psichiatrici gravi e problemi di memoria (Bianchi et al., 2012).
La Sindrome di Capgras è generalmente caratterizzata da un importante disconoscimento di alcune delle figure più significative della vita del paziente. Il soggetto affetto da questa sindrome mostrerà dei comportamenti malevoli o francamente aggressivi nei confronti della persona non riconosciuta, giustificando con convinzione il proprio pensiero con delle frasi del tipo “il mio vero marito è più magro!” o, ancora, “la mia vera mamma è più affettuosa” (Bianchi et al., 2012).
È facile immaginare quanto questi pensieri di stampo persecutorio possano causare sofferenza e minare la qualità della vita del paziente e dei suoi caregiver. Uno studio di Koc e Hocaoglu, pubblicato nel 2020, ha evidenziato che 1 soggetto su 10 – maschi, con diagnosi psichiatrica – ha tentato l’omicidio e, inoltre, che 1 soggetto su 10 – femmine, con diagnosi sia psichiatrica che di disturbo neurodegenerativo – ha riportato diversi episodi di autolesionismo e di tentato suicidio (Kog & Hocaoglu, 2020).
Questa Sindrome bizzarra viene citata per la prima volta da Capgras e Reboul-Lachaux nel “Bulletin de la Societé Clinique de Medicine Mental”, nel lontano 1923. I due studiosi analizzano il caso di una donna di 53 anni (nello scritto viene chiamata “Madame M.”), che il 3 giugno 1918 si presentò alla polizia esponendo denunce piuttosto singolari. La Signora M. era convinta che nel seminterrato della sua casa, nonché nei seminterrati di tutta Parigi, fossero imprigionati diversi bambini, e supplicò la polizia di accompagnarla a casa per provare che ciò che stava dichiarando fosse vero. Nel contempo iniziò a manifestare la convinzione secondo la quale le persone da lei conosciute (familiari, amici, addirittura i poliziotti) fossero state sostituite da impostori identici, ossia da “sosia”. Il suo pensiero delirante si mostrò complesso e ben strutturato: la Signora M. diceva di essere stata sostituita alla nascita, infatti, e non avrebbe dovuto condurre la vita che aveva vissuto fino a quel momento, ma era in realtà l’ereditiera di una grande fortuna. Si diceva minacciata da uno spaventoso complotto finalizzato a sottrarle la sua eredità e il fulcro di questa cospirazione era proprio la sostituzione di sé stessa, dei suoi familiari e di altre persone del suo ambiente, con dei doppioni che la perseguitavano e cercavano di avvelenarla. La paziente presentava già una storia di dieci anni di psicosi ed era stata ricoverata diverse volte.
Le cause di questo raro fenomeno psichiatrico non sono ancora completamente note al giorno d’oggi, tuttavia, sono presenti diverse ipotesi di stampo neuroscientifico, organico, funzionale o addirittura psicodinamico. Ne analizzeremo brevemente insieme alcune tra le più interessanti.
Una delle ipotesi psicodinamiche viene proposta da Enoch nel 1986 e si fonda tutta su un sentimento di ambivalenza, che scaturirebbe da due visioni opposte della stessa persona da parte del soggetto. In questa teoria, che chi sta scrivendo trova di stampo squisitamente kleiniano, viene proposta una patologica regressione infantile che porterebbe alla scissione del genitore in immagini “buone” o “cattive”: il soggetto non è in grado di gestire le emozioni negative nei confronti della persona-bersaglio e crea a livello inconscio un “sosia sostitutivo” sul quale può riversare rabbia, delusione, gelosia e tristezza senza sperimentare sentimenti di colpa. La presente teoria mostra numerosissimi limiti, tra cui il fatto di non riuscire a spiegare il motivo per il quale la Sindrome di Capgras possa coinvolgere anche persone non emotivamente vicine al paziente (si pensi ai poliziotti di Madame M.).
Per quanto riguarda il filone delle ipotesi organiche, è interessante notare come tutti i pazienti con varie manifestazioni della Sindrome presentino alcune lesioni cerebrali correlate. Weinstein e Kahn (1952) hanno evidenziato una compromissione del diencefalo e delle strutture profonde periventricolari, tra cui le connessioni tra formazione reticolare, talamo e corteccia prefrontale: questo “fenomeno da disconnessione” ha iniziato a porre i riflettori sul ruolo del lobo frontale destro in questo disturbo. Joseph e collaboratori (1986) hanno osservato atrofia corticale diffusa nelle tomografie computerizzate di 23 soggetti colpiti dalla Sindrome. Benson e collaboratori (1976) hanno infine rilevato un danno frontale diffuso con prevalenza a destra in soggetti colpiti da trauma cranico, che hanno successivamente sviluppato paramnesia reduplicativa per i luoghi – fenomeno simile alla Sindrome di Capgras, nel quale i doppioni non riguardano le persone ma i luoghi (Pick, 1093).
Le spiegazioni neuroscientifiche e neuropsicologiche sono ad oggi le più accreditate, anche perché vengono supportate da evidenze di neuroimaging. In letteratura viene sottolineato che i domini cognitivi più colpiti nella Sindrome sono la memoria a lungo termine, le funzioni esecutive e l’elaborazione visuo-spaziale. La teoria della disconnessione di Madoz-Gúrpide e collaboratori (2010) propone che il fenomeno di Capgras derivi da una mancata integrazione delle informazioni a causa del “blocco delle comunicazioni” tra lobo frontale – centrale nella coscienza di sé stessi, degli altri e dell’ambiente – e ippocampo destro – coinvolto nella formazione delle memorie. Il soggetto sembra non riuscire più ad aggiornare il proprio database di memorie a lungo termine relative alle persone che lo circondano: le confabulazioni, termine che in neuropsicologia si riferisce alla creazione di false memorie e credenze, fanno così da “tappabuchi” e danno senso ai deliri. Anche l’elaborazione visuo-spaziale verrebbe minata, poiché il soggetto non riesce più ad analizzare, riconoscere e identificare correttamente i volti delle persone.
La Sindrome di Capgras rappresenta ancora oggi un vero e proprio rompicapo per psicologi, neuropsicologi, psichiatri e neurologi. L’eziologia del fenomeno è piena di zone d’ombra ed è tuttora oggetto di numerose ricerche. Tra le terapie attualmente utilizzate troviamo i farmaci antipsicotici, gli antidepressivi e la psicoterapia, ma di sicuro le nuove conoscenze che acquisiranno gli specialisti nel futuro permetteranno l’affinamento degli attuali trattamenti e la messa a punto di nuove alternative terapeutiche più specifiche ed efficaci.
Bibliografia
Benson, D.F., Gardner, H., & Meadows, J.C (1976). Reduplicative paramnesia. Neurology, 26,147-51.
Bianchi, A., Coccanari de’ Fornari, M.A., Fiori Nastro, P., Rusconi, A.C., Carlone, C., & Biondi, M. (2012). La sindrome di Capgras: cenni storici, aspetti psicopatologici, psicorganici e psicofunzionali. Journal of Psycopathology, 18, 156-163.
Capgras, J. & Reboul-Lachaux, J. (1923). L’illusion des ‘sosies’ dans un delire systematize chronique. Bulletin de la Societe Clinique de Medicine Mental, 11, 6-16.
Enoch, D.M. (1986). Whose double? The psychopathology of the delusional misidentification syndromes, especially the Capgras’ syndrome. Bibliotheca Psychiatrica, 164, 22-9.
Joseph, A.B. (1986). Focal central nervous system abnormalities in patients with misidentification syndromes. Bibliotheca Psychiatrica, 164, 68-79.
Koç, A. & Hocaoglu, C. (2021). What is Capgras Syndrome? Diagnosis and Treatment Approach. 10.5772. Intechopen, 91153.
Madoz-Gúrpide, A. & Hillers-Rodríguez, R. (2010) Capgras delusion: A review of aetiological theories. Revista de Neurologia, 50, 420-30.
Pick, A. (1903). On reduplicative paramnesia. Brain, 26(1903), 242-267.
Weinstein, E.A., Kahn, R.L., & Sugarman, L.A. (1952). Phenomenon of reduplication. AMA Archive of Neurology and Psychiatry , 67, 808-14.