Abbiamo sempre sentito dire che i cani sono i migliori amici dell’uomo, che sono in grado di comprenderci più di qualsiasi altro animale e che noi possiamo facilmente comunicare con loro. Non credete che i gatti possano sentirsi offesi? Sia i cani che i gatti sono presenti nella vita dell’essere umano da millenni. Ma se questo vale per entrambi, come possiamo dire che i cani sanno essere migliori amici degli uomini più di un gatto?
Sebbene, nel corso degli anni, sia stato dimostrato che entrambi abbiano una lunga storia di addomesticamento, questa è abbastanza diversa tra i due animali. I cani erano impegnati nell’individuazione del cibo nascosto perché erano, e sono in grado, di comprendere gli stimoli degli esseri umani (sguardi, gesti, indicazioni); hanno così sviluppato molte capacità cognitive. I gatti, invece, erano addomesticati per predare i roditori o sfruttati per consumare gli scarti alimentari degli uomini (Clutton-Brock 1995). Ciononostante, i gatti oggi sono riusciti ad evolversi e a mettere in atto dei comportamenti ben diversi: sono in grado, cioè, di stringere forti legami con gli uomini, vivono all’interno delle loro case, aspettano che gli venga servito il cibo e, a volte, formano anche gruppi sociali.
Proprio per queste nuove conquiste, Saito e Shinozuk (2013) hanno voluto studiare il comportamento di questi felini, in particolare si sono chiesti: come rispondono alle voci dei loro proprietari? Lo scopo era comprendere se i gatti fossero in grado di riconoscere le voci familiari oppure se non riuscissero a distinguerle dalle voci di sconosciuti. Parteciparono all’esperimento 20 gatti con i loro rispettivi proprietari e alcuni estranei. Vennero registrate le voci del proprietario e di quattro sconosciuti mentre chiamavano l’animale per nome; successivamente, furono fatte ascoltare ai gatti osservandone il comportamento.
Quali furono i risultati? Nella maggior parte dei casi gli animali, ascoltando sia le voci familiari che non, muovevano le orecchie e la coda: erano quindi in grado di riconoscere tutte le voci umane. I gatti erano anche riusciti ad abituarsi alle voci degli sconosciuti, come dimostrato dal fatto che hanno aumentato l’intensità della loro risposta (muovendosi e miagolando) quando questi ultimi li chiamavano per nome. Questo potrebbe dimostrare che essi sono in grado di riconoscere la voce dell’essere umano e di abituarsi ad essa.
Contestualizzando tali risultati nella diatriba cane-gatto, possiamo sicuramente concludere che i cani hanno un modo diverso di approcciarsi agli esseri umani rispetto ai gatti. Ad esempio, mostrano la volontà di un continuo contatto fisico – dalle carezze al gioco – che risulta meno evidente nei gatti; oppure, quando vengono abbandonati o devono separarsi dai loro padroni, esibiscono una risposta emotiva – in termini di tristezza e pianto – che non è stata rilevata nei gatti.
Per questi motivi dovremmo, forse, considerare i nostri amici felini un po’ apatici? Penso che non si debba fare di tutta l’erba un fascio, ma sarebbe meglio apprezzare e rispettare la singolarità e unicità di ogni essere vivente.
Bibliografia
Clutton-Brock, J. (1995). Origins of the dog: domestication and early history. In J.A. Serpell (a cura di) The domestic dog: its evolution, behaviour, and interactions with people (pp 7-20), 11th edn. Cambridge, UK: University Press.
Saito, A., & Shinozuka, K. (2013). Vocal recognition of owners by domestic cats (Felis catus). Animal cognition, 16(4), 685-690.