L’abuso sessuale è purtroppo talmente comune che parlarne è di fondamentale importanza. Spesso ci chiediamo cosa la società possa fare per mettere in atto strategie di prevenzione e di intervento psicologico che possano arginare e agire sulle conseguenze di questi tristi eventi. Se la prima cosa da fare è sicuramente tutelare la vittima, spesso ci si dimentica del rovescio della medaglia, di coloro che commettono il reato sessuale: i sexual offenders.
In Italia, per la prima volta nel 1998 con la legge n° 269 all’art. 17, la prevenzione e l’intervento diventano non solo a favore della vittima, ma anche degli autori del reato sessuale. Le motivazioni delle necessità di un intervento per i sexual offenders risiedono nel fatto che anche loro presentano molte problematiche che necessitano di attenzione e di un eventuale intervento soprattutto di tipo relazionale. Infatti, già prima di commettere il reato, questi soggetti presentano distorsioni cognitive, ovvero atteggiamenti e credenze distorte o errate (Ward, Hudson, Johnston & Marshall, 1997); bassa autostima (Marshall, 1997); scarse capacità di coping , ovvero la capacità di fronteggiare e reagire in modo ottimale alle situazioni (Marshall, Cripps, Anderson & Cortoni, 1999); problematiche di autoregolazione emotiva e comportamentale (Ward, Keenan & Hudson, 2000); alto senso di solitudine (Marshall, Champagne, Brown & Miller, 1997); scarsa capacità di avere una relazione intima (Marshall, 1993; Veglia, 2002); prevalenza di un attaccamento di tipo insicuro (Veglia, 2002; Ward, Marshall & Hudson, 1996). Per attaccamento si intende il sistema di memorie e aspettative che contribuisce alla formazione di un legame tra due persone e ne influenza la modalità di entrare in relazione. Solitamente il primo legame di attaccamento che si instaura è quello con il caregiver, ovvero la prima figura che garantisce la sopravvivenza al bambino (quindi quasi sempre la madre). Tale legame influenza poi il modo in cui l’individuo vive le relazioni future.
Nel 2013, una ricerca condotta presso l’Università di Torino da Veglia e Castellino ha ipotizzato, sulla base delle precedenti evidenze, un deficit della Teoria della Mente (ToM; Premarck & Woodruff, 1978) nei sexual offenders, ovvero l’incapacità di questi soggetti di attribuire stati mentali a sé stessi e agli altri. Inoltre, la ricerca si è proposta di individuare la loro storia di attaccamento, attraverso l’utilizzo dell’Adult Attachment Interview (AAI; George, Kaplan e Main, 1985). Dalla valutazione della ToM è stato confermato un deficit nella capacità di riflettere su di sé e sugli altri soprattutto quando l’argomentazione riguarda il reato compiuto o la vittima. Riguardo l’attaccamento degli aggressori sessuali, i risultati hanno evidenziato un attaccamento di tipo insicuro, cioè la convinzione che gli altri non siano sempre disposti a fornire cura e conforto, e la prevalenza di uno stato mentale irrisolto/disorganizzato rispetto all’attaccamento, ovvero credenze riguardo la disponibilità altrui contraddittorie e spesso scisse. Inoltre, la storia di attaccamento dei sexual offenders è spesso caratterizzata dalla presenza di traumi e lutti irrisolti.
Il trattamento psicologico rivolto agli aggressori risulta quindi essenziale allo scopo di aiutare queste persone a ri-costruire le abilità cognitive di base, spesso assenti, oltre che a diminuire il rischio di recidiva. La psicoeducazione potrebbe aiutare, ad esempio, queste persone a migliorare le abilità relazionali, ad allenare le competenze cognitive di base e a imparare ad utilizzare un sistema motivazionale efficiente.
Quello dei sexual offenders è quindi un quadro sindromico importante, non trascurabile di attenzione psicologia, sociale e sicuramente anche politica. Queste persone hanno bisogno di una rieducazione e di un sostegno psicologico sia durante la detenzione che dopo. Ciò permetterebbe ai sexual offenders di ricominciare una vita funzionale e ridurrebbe il rischio che essi possano ricommettere il crimine. Se questi interventi fossero sostanziali e permanenti, i benefici sarebbero sicuramente non solo del singolo individuo ma anche di tutta la società.
Bibliografia
Main, M., George, C., & Kaplan, N. (1985). Adult Attachment Interview. Unpublished Manuscript, University of California: Berkley.
Marshall, W. L., Champagne, F., Brown, C., & Miller, S. (1997). Empathy, Intimacy, Loneliness, and Self-esteem in Nonfamilial Child Molesters. Journal of Child Sexual Abuse, 6, 7-97.
Marshall, W. L., Cripps, E., Anderson, D., & Cortoni, F. A. (1999). Self-esteem and Coping Strategies in Child Molesters. Journal of Interpersonal Violence, 14, 955-962.
Ward, T., Keenan, T., & Hudson, S. M. (2000). Understanding Cognitive, Affective, and Intimacy Deficits in Sexual Offenders: A developmental perspective. Aggression and violent behavior, 5, 41-62.
Marshall, W. L. (1997). The Relationship Between Self-esteem and Deviant Sexual Arousal in Nonfamilial Child Molesters. Behavior Modification, 21, 86-96.
Marshall, W. L. (1993). The Role of Attachment, Intimacy, and Loneliness in the Etiology and Maintenance of Sexual Offending. Sexual and Marital Therapy, 8, 109-121.
Premack, D., & Woodruff, G. (1978). Does the Chimpanzee have a Theory of Mind? The Behavioral and Brain Sciences, 4, 515-526.
Veglia, F. & Castellino, N. (2013). L’Aggressione Sessuale come Crimine Interpersonale. Un’analisi delle problematiche relazionali dei sexual offenders. Rivista Italiana di Medicina Legale, 4, 1849-1861.
Veglia, F. (2002). Riflessioni in margine alla pedofilia alla luce della teoria dell’attaccamento. In Gulotta, G., e Pezzati, S. (a cura di), Sessualità, Diritto e Processo (pp. 229-241). Milano, IT: Giuffrè.
Ward, T., Hudson, S. M, Johnston, L., & Marshall, W. L. (1997). Cognitive Distortions in Sex Offenders: A preliminary study. Journal of sex research, 33, 17-26.
Ward, T., Hudson, S. M., & Marshall, W. L. (1996). Attachment style in sex offenders: A preliminary study. Journal of Sex Research, 33, 17-26.