Il 2020 ha portato nelle nostre vite un cambiamento del tutto drastico: da ormai più di un anno ci ritroviamo a combattere la nostra battaglia contro il nemico invisibile, il virus SARS-CoV-2 (anche conosciuto come Covid-19). Questo ha portato a rivoluzionare completamente il nostro modo di vivere, costringendoci ad abbandonare e stravolgere le nostre abitudini. Per poter contenere i rischi di contagio e salvaguardare la nostra salute e quella delle persone a noi care, abbiamo, infatti, iniziato a seguire delle rigide regole di comportamento.
Poiché in generale le difficoltà a mantenere un comportamento in linea con queste regole iniziano a farsi sentire sempre più con il passare del tempo, viene da chiedersi se queste difficoltà si presentino in misura maggiore in persone con psicopatologia e se la psicopatologia stessa possa esporre queste persone a un rischio di contagio superiore. È quello che hanno cercato di scoprire Merzon e collaboratori (2020) nel loro studio in cui hanno indagato la possibile relazione tra la diagnosi di ADHD e la positività al Covid-19: le ipotesi di partenza, infatti, erano che il tasso di ADHD tra i soggetti positivi al Covid-19 fosse significativamente più alto rispetto a quelli senza ADHD e che il trattamento con farmaci anti-ADHD potesse moderare il tasso di infezione da SARS-CoV-2.
La popolazione dello studio includeva 14.022 soggetti registrati presso Leumit Health Services (un’organizzazione di servizi medici israeliana) tra il primo febbraio e il 30 aprile 2020, sottoposti ad almeno un test Covid-19. I dati, riguardanti età, sesso, e livello socio economico. sono stati raccolti dalle cartelle cliniche elettroniche. Inoltre, l'acquisto consecutivo di almeno tre prescrizioni di farmaci per l'ADHD durante l'anno passato è stato considerato trattamento farmacologico. I risultati mettono in evidenza l’esistenza di una correlazione positiva tra positività ai test Covid-19 e diagnosi di ADHD e, in particolare, questa associazione è risultata più forte nel gruppo di soggetti che non erano stati sottoposti a nessuna farmacoterapia, sottolineando il valore protettivo del farmaco nei confronti del rischio di esposizione al virus. Nonostante si tratti di una scoperta recente che necessita di studi futuri per essere approfondita, questo studio suggerisce la possibilità di utilizzare farmaci come forma preventiva nei soggetti con ADHD ad alto rischio di infezione da SARS-CoV-2. È emerso, inoltre, che i pazienti del campione positivi al Covid-19 avevano un’età inferiore a 20 anni ed erano maschi, forse perché in questa fascia di popolazione è più diffusa la diagnosi di ADHD.
Una possibile spiegazione della significativa vulnerabilità dei soggetti ADHD al SARS-CoV-2, può essere, infine, attribuita ai sintomi dell’ADHD, ovvero disattenzione, iperattività e impulsività. Queste caratteristiche interferiscono con la capacità di soddisfare le richieste dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, come ad esempio le misure di distanziamento sociale.
Possiamo affermare, quindi, che questo studio rappresenti un ampio spunto di riflessione, in quanto ci ricorda l'importanza di non dimenticare tutti quei soggetti fragili, di cui nessuno parla. I bambini e i ragazzi con ADHD fanno molta più fatica rispetto a tutti i loro coetanei e per loro un semplice gesto, come l’utilizzo della mascherina, può risultare un vero e proprio calvario. È importante, quindi, continuare a studiare delle possibili soluzioni, per far sì che l'impatto della situazione pandemica su di loro sia il più basso possibile, nella speranza che tutti possiamo ritornare alla nostra vita di sempre.
Bibliografia
Merzon, E., Manor, I., Rotem, A., Schneider, T., Shlomo Vinker, S., Cohen, A.G., Lauden, A., Abraham Weizman, A. & Green, I. (2020). ADHD as a Risk Factor for Infection with Covid-19. Journal of Attention Disorders, 1–8