“I'm never gonna know what you go through, all the things I say or do […] I’m not gonna miss you”.
Queste le parole del brano di addio di Glen Campbell, che saluta così tutto ciò che ha sempre amato e che gli mancherà, ma che sa non ricorderà. A volte bastano tre parole per poter cambiare una vita intera, e nel caso di Campbell, queste sono state “malattia di Alzheimer”.
La malattia di Alzheimer è un disordine neurodegenerativo, nonché la più comune forma di demenza: colpisce più di 24 milioni di persone al mondo e rappresenta un grande problema per la salute pubblica a causa dell’assenza di una cura farmacologica per tale malattia. Si pensa che essa sia causata dall’accumularsi di aggregati proteici che compromettono il funzionamento e la sopravvivenza dei neuroni nell’ippocampo, generando problemi di memoria e apprendimento. Con il progredire della malattia, le compromissioni vanno poi sempre più generalizzandosi fino a invadere completamente corpo e mente, causando disturbi dell’umore, cognitivi e comportamentali.
Data la scarsa efficacia dei trattamenti farmacologici nel ridurre tali sintomi causati dall’Alzheimer, oggi si tende ad affiancare a tali cure l’utilizzo di altre strategie di supporto. In particolar modo molti studi si sono concentrati sulla valutazione degli effetti dell’utilizzo della musica su questi pazienti e hanno riportato effettivi miglioramenti nella loro qualità di vita (Baird & Samson, 2009; Simonson-Stern et al., 2010). Tuttavia, Narme e collaboratori (2013) si sono chiesti se tali miglioramenti fossero prodotti specificamente dagli interventi musicali o se fossero ottenibili anche con altri interventi supportivi. Per indagare ciò, hanno preso in considerazione un campione di 37 pazienti con Alzheimer. Questi pazienti, ricevevano la cura farmacologica, e inoltre 18 di essi partecipavano a un intervento musicale e 19 a un intervento di cucina. In entrambi gli interventi si alternavano delle fasi recettive – in cui i pazienti, a seconda dell’intervento, ascoltavano la musica o la presentazione della ricetta – e delle fasi produttive – in cui i pazienti attivamente cantavano oppure preparavano il piatto. L’intervento aggiuntivo (musicale o di cucina) aveva una durata di un’ora e veniva svolto due volte a settimana per 4 settimane. I cambiamenti prodotti da questi interventi sono stati rilevati con misurazioni pre, durante e post-intervento, indagando i domini emotivo, cognitivo e comportamentale dei pazienti. Inoltre, è stato valutato anche se vi fossero cambiamenti nel livello di distress espresso dai caregiver, ovvero se il loro stress “negativo” – generato dalla condizione di dover accudire il familiare affetto da Alzheimer – diminuisse a seguito di eventuali effetti positivi del training sul paziente.
L’ipotesi di partenza era che solo l’intervento musicale avrebbe prodotto effetti più duraturi ed efficaci. I risultati hanno invece mostrato che sia l’intervento musicale che quello di cucina producevano cambiamenti positivi di egual misura in tutti i domini indagati, ad eccezione di quello cognitivo (in cui nessuno dei due produceva un miglioramento significativo). Data la parità dell’efficacia di entrambi gli interventi, si può quindi affermare un’assenza di specificità dei benefici prodotti dalla musica nei pazienti con Alzheimer. Inoltre, dato che l’attività di cucina ha in comune con l’attività musicale le dimensioni di piacevolezza e la possibilità di essere svolta in gruppo, sembra che gli effetti positivi ottenuti da tali interventi siano riconducibili proprio a questi aspetti.
Questo studio dimostra, quindi, come i trattamenti non farmacologici, basati sulla socialità e sulla condivisione di tempo e obiettivi, rappresentano un salvagente che aiuta pazienti e caregiver che affrontano la tempesta dell’Alzheimer a rendere la loro traversata un po’ meno ostica, attraverso il miglioramento della loro qualità di vita.
Bibliografia
Narme, P., Clément, S., Ehrlè, N., Schiaratura, L., Vachez, S., Courtaigne, B., Munsch, F., Samson, D. (2014). Efficacy of Musical Interventions in Dementia: Evidence from a Randomized Controlled Trial. Journal of Alzheimer’s Disease, 38(2), 359–369.
Baird, A., & Samson, S., (2009). Memory for music in Alzheimer’s disease: Unforgettable? Neuropsychology Review, 19, 85-101.
Simmons-Stern, N.R., Budson, A.E., & Ally, B.A. (2010). Music as a memory enhancer in patients with Alzheimer’s disease. Neuropsychologia, 48, 3164-3167.
Campbell, Glen, I’m not gonna miss you, Big Machine Records, LLC, 2014.